giovedì 31 gennaio 2013

Intervista al prof. Leonardo Becchetti - di Maria Silvestrini



Un circuito di responsabilità per superare le difficoltà della crisi
art. del Corriere del Giorno - 31 gennaio 2013

    Il prof. Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia Politica dell’Università Tor Vergata di Roma e Presidente del Comitato Etico di Banca Etica, invitato dal Centro di Cultura dell’Università Cattolica "G. Lazzati" insieme ad Interfidi, Consulta delle Aggreazioni laicali e Camera di Commercio,
venerdì 1 febbraio alle ore 18,00, c/o la Cittadella delle Imprese di Taranto, terrà una lezione dal titolo particolarmente significativo: “Il mercato siamo noi”. 
    Ma cosa vuol dire parlare di mercato in termini non competitivi, e questo come influenza il nostro territorio così duramente provato da una politica economica aggressiva? Lo abbiamo chiesto al professore.

Prof. Becchetti John Hicks, premio Nobel dell’economia mette in guardia dall’avere una visione economica che abbia al centro esclusivamente il mercato. Il tema della sua relazione sembra essere sulla scia poiché affronta la questione in maniera opposta alle tesi correnti in cui il mercato globale detta legge a tutti i livelli. Quale è la sua prospettiva?
    Le ricorrenti crisi e scandali finanziari ci hanno fatto uscire dall’ingenua ed ideologica visione di un mercato che si autoregola e dall’ottimalità di regole che guardino soltanto al principio di efficienza. Sarebbe un po’ come dire che nella circolazione stradale bisogna abolire i semafori e i limiti di velocità pensando che gli automobilisti si autoregoleranno e non ci saranno incidenti. Il mercato ha funzioni fondamentali (attraverso gli scambi promuove la mutua soddisfazione dei bisogni ed è un efficace sistema di trasmissione di informazioni) ma anche limiti importanti (non riesce a risolvere i problemi di equità e giustizia sociale).

In un mercato stagnante quale quello attuale è possibile immaginare una inversione di tendenza partendo dal basso, cioè dai consumi e da una nuova visione di sviluppo?
    La cosa più urgente di cui abbiamo bisogno per invertire la tendenza è una riforma del sistema finanziario per evitare che nuove falle vanifichino i nostri sacrifici e sforzi di risanamento.La linea è stata già indicata dalle più autorevoli commissioni indipendenti a livello comunitario. Bisogna innanzitutto separare banca commerciale da banca d’affari (Volckerrule). A livello europeo è necessario rilanciare le politiche macroeconomiche superando l’illusione che il rigore (pur necessario) possa da sé far ripartire la crescita. A livello nazionale dobbiamo puntare su fattori competitivi non delocalizzabili. Assieme a ciò però è fondamentale indossare nuovi occhiali e misurare in modo diverso la “ricchezza delle nazioni”. Ciò che produce bene comune e felicità infatti è lo stock dei beni relazionali, spirituali, ambientali, culturali ed economici di un paese. Guardare alla sola crescita quantitativa del flusso dei beni e servizi scambiati sul mercato ci porta ad ignorare effetti indesiderati negativi (sociali ed ambientali) dello sviluppo che dobbiamo evitare e che prima o poi si trasformano in un boomerang (l’esempio dell’Ilva è un classico caso di questo problema). 

Per questo ‘il mercato siamo noi’?
    In questa importante trasformazione che è prima di tutto culturale oltre che politica il ruolo di tutti noi è fondamentale. Il mercato è fatto di domanda e di offerta e noi siamo la domanda. Il mercato pertanto non passa sopra le nostre teste, perché il mercato siamo noi. Dobbiamo imparare ad influenzarlo votando col portafoglio, ovvero premiando con i nostri consumi e risparmi quelle aziende che sono all’avanguardia nella creazione di valore economico in modo socialmente ed ambientalmente sostenibile. 

Taranto oggi è emblema della necessità di un cambiamento, un vero laboratorio per invertire la rotta. Lei come legge la situazione di questo territorio?
    Il caso di Taranto fa capire che l’esigenza di misurare in modo diverso il valore, di valutare la qualità della crescita è un problema non accademico ma drammaticamente concreto. La creazione di valore economico che genera il PIL oggi è un fenomeno estremamente complesso e ricco. I problemi di questa città devono diventare uno stimolo a trovare nuove vie di creazione di valore economico rispettose della sostenibilità sociale ed ambientale.

La nostra città oltre ad essere ammalata per l’inquinamento ambientale è anche ammalata di statalismo, dopo un secolo di Arsenale e Siderurgico. Difficile modificare un modello mentale, non vogliamo cambiare il mondo ma ci basterebbe cambiare Taranto. Ma come?
    Le risorse pubbliche sono sempre più scarse e per questo non possiamo più aspettarci che lo stato possa coprire direttamente tutti i bisogni di welfare con esse. Piuttosto le istituzioni devono usare risorse scarse per attivare circuiti di responsabilità e sussidiarietà della società civile premiando quei circuiti virtuosi attraverso i quali imprese sociali dimostrano di saper creare valore economico, sociale ed ambientale. Gli esempi sono molteplici e vanno dalle fondazioni di comunità, ai premi per il valore socioambientale delle filiere negli appalti pubblici, ai circuiti di commercio equosolidale e di microcredito, ai gruppi di acquisto solidale fino a forme innovative di gestione del problema della longevità, dell’assistenza sanitaria innovative che attivano circuiti di responsabilità sapendo trasformare i destinatari degli interventi in protagonisti attivi del loro destino.



Maria Silvestrini

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