Intervista
al prof. Stefano Zamagni, che sabato 12 gennaio, relazionerà alla Cittadella delle imprese di Taranto
Ordinario di
Economia Politica all’Università di Bologna, il prof. Stefano Zamagni è fra i
maggiori studiosi del Terzo Settore, presidente dell’Agenzia omonima e autore
del Libro bianco pubblicato nel maggio del 2011 per le edizioni ‘Il Mulino’.
Invitato dal Centro di cultura ‘Lazzati’
nell’ambito del percorso di formazione dell’Accademia mediterranea di Economia
Civile, parlerà domani alle
ore 10,00 nella sala Resta della
Cittadella delle imprese. Il tema
dell’incontro “Città, società civile e nuovo sviluppo economico”
, organizzato in collaborazione con la Camera di Commercio di Taranto e la
Consulta delle Aggregazioni Laicali di Taranto, vuole essere
l’occasione per riflettere sulla crisi profonda della nostra città di
Taranto e sui possibili scenari propositivi di rilancio della
stessa.
In una lunga intervista Zamagni spiega cosa è
necessario per cambiare il modello di sviluppo distruttivo che Taranto ha avuto
negli ultimi cinquant’anni.
‘Cooperare,
non competere’ è il paradigma del Terzo Settore costituito da una pluralità di
figure giuridiche. L’attuale contesto economico, a suo avviso, favorisce o
penalizza questo tipo di imprese?
In questo ultimo anno il Terzo Settore ha ricevuto
batoste e disconoscimenti che non meritava. Mai prima è accaduto che ministri
diversi avessero nei loro discorsi ufficiali, o in interviste, mancato di
parlarne. Unica eccezione è stata fatta per il volontariato che è parte del Terzo
Settore ma è un segmento come altri segmenti sono: la cooperazione sociale,
l’impresa sociale, le fondazioni no profit, su cui il silenzio è stato assoluto.
Per non parlare poi del fatto che alcuni provvedimenti legislativi sono stati
presi per tarpare le ali ai soggetti del TS produttivo. Ricordo che è stata
chiusa l’Agenzia per il Terzo Settore, non si è proceduto con l’Osservatorio
del volontariato, non è stata modificata la norma che impedisce alle imprese
sociali di accedere al fondo di garanzia speciale creato per le piccole e medie
imprese per ottenere crediti dal sistema bancario, e potrei continuare. Lo
avevo preconizzato purtroppo, e le motivazioni addotte non soddisfano.
La
vision politico economica di quest’ultima stagione ha portato più serietà e
rigore, ma è sembrata schiava dei numeri e del debito. Quali prospettive per
modificare un itinerario che sembra segnato da scelte pregresse?
In economia diciamo che le teorie sono gli occhiali
con cui osserviamo la realtà. Dobbiamo cambiare la percezione, che è della
maggioranza dei nostri governanti, che l’Italia abbia soltanto due settori: il
Pubblico e il Privato, mentre c’è la terza gamba che è il Civile. In questo
modo si dimentica quella porzione di società che si esprime nelle forme di
associazionismo di vario tipo e che è in grado di produrre. L’errore
concettuale è quello di pensare che il TS sia meramente redistributivo ossia fa
l’elemosina. Non è così. Il TS italiano è un settore produttivo, che produce
valore aggiunto, genera beni e servizi. Non aver capito questo è la ragione per
la quale ci si è completamente dimenticati di questi soggetti e non si è fatto
nulla per agevolarli. Un rilancio del settore potrebbe generare posti di lavoro
in abbondanza ed alleviare certe sofferenze senza mettere a repentaglio i conti
pubblici. E' chiaro che c’era un problema di finanza pubblica ma questa la si poteva
correggere con forme e modi diversi, a mio avviso non è stato scelto il modo
più adeguato, capace di tener conto del genius
loci del nostro paese.
Genius
loci che mi porta alla nostra città Taranto. Malata di ambiente, è una città
delusa. Cinquant’anni di sviluppo industriale da cancellare, cosa ne pensa?
Quello che caratterizza i soggetti del TS produttivo
è la capacità di generare quella forma di sviluppo che si chiama ‘capitale
sociale’, che altro non è che l’insieme delle relazioni e delle reti
fiduciarie. Sappiamo che quando un’area è a fiducia alta, sono bassi i tassi di
interesse sono più alti gli investimenti ed in generale la macchina economico
produttiva gira più velocemente. Allora il punto è che il capitale sociale non
può essere né il privato né il pubblico a crearli, non è questa la loro
funzione. Il capitale sociale è creato dalla società civile organizzata. Ecco
perché oggi Taranto, come altre realtà del mezzogiorno d’Italia, non può non
tenere conto di questo. Come cercherò di spiegare nel mio prossimo incontro
nella vostra città, le regole del gioco economico prevedono due tipologie di
istituzioni che sono state chiamate, nella terminologia economica, estrattive ed
inclusive. Le istituzioni economiche estrattive sono quelle che estraggono da
un territorio valore aggiunto e lo portano altrove o lo trasformano in rendita.
Questa è la causa dei mali di Taranto, il riferimento all’Ilva è molto facile.
Quando le attività produttive dirottano in altri luoghi il risultato economico,
che viene trasformato in rendita e non in salario o in profitto, ecco che
queste portano alla rovina una comunità. Dobbiamo creare istituzioni inclusive
cioè delle regole del gioco economico che, valorizzando il territorio, consentano
di reinvestire il valore aggiunto che si è determinato. Chiaramente questo è un
problema di portata generale, imboccare questa via vuol dire rivisitare
l’intera politica degli ultimi decenni nei confronti del Mezzogiorno d’Italia.
Perché
certe industrie non hanno generato sul territorio quel moltiplicatore che ci si
attendeva?
Perché si sono scritte delle regole del gioco di
tipo estrattivo, quindi al Sud si facevano le industrie ed i benefici
arrivavano al Nord oppure altrove. Bisogna che in una parte della società
civile ci sia questa consapevolezza e si chieda tutti assieme, in particolare a
chi occupa posti di responsabilità politiche o di governo, di cambiare le
regole del gioco. Diversamente il Sud Italia non potrà che vedere peggiorata la
sua situazione, in una maniera che io giudico indegna, non è così che si può
umiliare una intera popolazione.
Un
nuovo sviluppo economico passa dalla questione ambientale. La famosa legge
Salva Ilva secondo lei può generare comunque un processo di ambientalizzazione?
La legge Salva Ilva è una legge presa sotto
l’incalzare di una emergenza, e, come sempre capita le leggi scritte sotto
l’emergenza non sono mai soddisfacenti. Questa legge servirà a ridurre i costi di
una situazione insostenibile ma non è fatta nel modo in cui io concepisco un
progetto di rinascita economico e sociale di un territorio. Se non si mette
mano al cambiamento dell’assetto istituzionale fra un po’ di anni ricadremo
nella situazione precedente. Non è possibile obbligare una popolazione a quella
che si chiama tragic choice. La
grande “colpa” oggettivamente commessa nel caso di Taranto è stata quella di
creare una situazione da scelta tragica tra due obiettivi entrambi dotati di
valori: in questo caso l’obiettivo dell’ambiente sano e dall’altro quello del
lavoro. E’ la società civile che si deve far carico del cambiamento.
Maria
Silvestrini
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